B A D O R E S I N I
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Badore Sini
così tracciava il suo ritratto nel 1899:
“Ritratto
mio:
Alto, un po’ scarno, capei neri e folti
D’occhi vivaci, di fronte regolare
Piccol il naso con i baffi incolti...
Aperto il petto, incurante dei venti..."
Scriveva in Roma nel
1898:
"Nacqui delle stagioni in la più bella
In quella verdeggiante primavera
Del settantatre...
Al mondo venni il giorno due di maggio…"
Badore Sini in una fotografia del 1915
Badore Sini, all'anagrafe Salvatore Francesco Sini, nacque a Sarule, in provincia di Nuoro, il 2 maggio del 1873.
Iniziò ad esercitare la professione d’avvocato nella pretura d’Orani e poi fu iscritto nell’elenco di quelli esercitanti nel foro di Nuoro dove, fra i suoi amici, vi era Sebastiano Satta, avvocato e poeta anch’egli.
Nella lettera indirizzata al suo maestro scrisse: "Ricordo la mia passione da ragazzo per le belle lettere… Quanto, quanto sarei felice se potessi applicarmi a mio piacere agli studi! Adesso sento più che mai bisogno di studiare, e m’arde con forza più che potente l’amore per lo studio… non mi posso chiamare poeta, ma il fatto sta che mi sento tanto attratto dalla poesia che se mi fosse possibile non farei altro che scrivere versi.”
Una vita durante la quale ha tentato di realizzare quel programma morale, sociale, religioso e politico che additava in una lettera scritta il 10 febbraio 1946:
"- Morale: procura di non offendere; - Sociale: fare tutto il bene possibile agli altri, pur sapendo che ti ricambieranno con la mera ingratitudine; - Religioso: professa la tua fede in faccia a tutto il mondo e procura di renderti ragione di ciò che pratichi; - Politico: segui il partito che credi più adatto per la Nazione e per il mondo. E’ da savio il cambiare partito dopo maturo esame..."
Durante la sua esistenza, come apprendiamo dal diario che Badore tenne per oltre sessant’anni, scrisse opere sia in italiano che in sardo. Per quanto riguarda quest’ultimo, l'autore lo considerava “un vero idioma e l’unico che ricordi la robustezza e l’armonia del latino”, com’ebbe a scrivere al conte di Sant’Elia quando lo invitava ad adoprarsi affinché fosse istituita in Roma una cattedra universitaria per il suo insegnamento, sull’esempio di Berlino.